Riflettevo, mentre mi preparavo verso le 20 l’ennesimo caffè: “Per descrivere i silenzi, quei vuoti che mi sto portando dentro dalle ultime settimane, occorrono parole. Le parole sono suoni, i suoni sono rumore. Ergo, per descrivere i silenzi OCCORRE necessariamente fare rumore”.
E questo mio ragionamento vale anche per i suoni (parole) scritti: molte volte lo scritto esprime concetti così scavati, profondi; ferite, che sembrano suoni, risultano suoni. E sono suoni (rumori) che non ci piace sentire.
Così… così i silenzi diventano un turbinio di parole che NECESSARIAMENTE bisogna esprimere. Bisogna andare avanti, passare questo sentimento di vacuità che ci prende, oltrepassare il limite che ci si è imposti.
Rumori, pietre contro i vetri, tempeste come lo sciabordio dell’acqua quando è spinta dal vento, contro un muretto, una roccia, mentre piove.
Febbraio, dal 2 in poi, è stato un vortice di esperienze che dapprima sembravano positive, come l’esame pre-operatorio per l’epilessia (andato male).
Poi – mentre cerco di riprendermi dagli esami multidisciplinari, mamma sta male. Ictus: e da quando peggiora, muore in due giorni.
Suoni, rumori, parole per descrivere un silenzio o una serie di silenzi difficili da descrivere.
Mamma è morta. “Dài, passerà”. Cosa? Il silenzio che ho dentro e che è indescrivibile? Il pianto che mi assale con violenza la notte? La violenza delle parole così potenti da cancellare ogni parola, suono, rumore dalla mia mente?
“Passerà”.
Rumori, pietre contro i vetri, tempeste come lo sciabordio dell’acqua quando è spinta dal vento, contro un muretto, una roccia, mentre piove…
“Passerà”.
Sveva Stallone